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Con l’ordinanza n. 6444 del 3 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha segnato un passaggio rilevante nella comprensione e valutazione della sofferenza morale all’interno del sistema giuridico. Questo intervento della Corte ha ulteriormente affinato i criteri per l’accertamento del danno non patrimoniale, con particolare riferimento alla sofferenza morale subita dalla vittima.

– Il Contesto della Pronuncia

L’ordinanza si colloca nel solco di una giurisprudenza consolidata che mira a rendere il risarcimento del danno non patrimoniale coerente con i principi costituzionali e le esigenze di giustizia sostanziale. Tuttavia, la difficoltà di tradurre in termini giuridici una realtà intrinsecamente soggettiva come la sofferenza morale ha richiesto alla Corte di affinare gli strumenti interpretativi e probatori.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione riguardava la richiesta di risarcimento per una sofferenza morale derivante da un evento lesivo grave, sollevando la questione di quali elementi probatori siano necessari per dimostrare l’effettività di tale danno e la sua entità.

– La Sofferenza Morale: Una Dimensione Complessa

La sofferenza morale rientra nella categoria del danno non patrimoniale e si caratterizza per la sua natura eminentemente soggettiva. Non è quantificabile attraverso criteri matematici o parametri oggettivi, ma richiede un approccio che consideri la specificità del caso concreto e la singolarità della persona lesa.

La Corte di Cassazione ha ribadito che il danno morale deve essere distinto dal danno biologico e da quello esistenziale, pur condividendone la radice comune di pregiudizio alla persona. In particolare, la sofferenza morale si manifesta attraverso stati di angoscia, dolore interiore e turbamento emotivo, che, seppur transitori, meritano piena considerazione in sede di risarcimento.

– L’Onere della Prova

Un aspetto centrale dell’ordinanza è l’analisi dell’onere probatorio in relazione alla sofferenza morale. La Corte ha precisato che, sebbene sia difficoltoso fornire una prova diretta e oggettiva del dolore interiore, il danneggiato deve comunque offrire elementi sufficientemente idonei a dimostrare l’esistenza e la gravità della sofferenza subita.

Tra i mezzi di prova ammessi, la Corte ha sottolineato l’importanza di:

*Prove documentali*, come referti medici o certificazioni psicologiche che attestino lo stato emotivo della vittima.
*Prove testimoniali*, utili per descrivere le condizioni soggettive della persona lesa e il cambiamento percepito dai conoscenti.
*Presunzioni*, che possono essere dedotte dal giudice sulla base della gravità oggettiva dell’evento lesivo e delle sue conseguenze plausibili.

La Corte ha inoltre evidenziato come il giudice debba svolgere un accertamento rigoroso e motivato, evitando di adottare automatismi risarcitori basati esclusivamente sulla gravità dell’evento.

– La Valutazione del Danno

Nell’ordinanza 6444/2023, la Corte ha ribadito che la valutazione del danno morale deve essere personalizzata e proporzionata, considerando:

– La natura e l’entità dell’evento lesivo.
– Le condizioni personali della vittima, come età, sensibilità e situazione familiare.
– La durata e l’intensità della sofferenza patita.

Questo approccio garantisce un bilanciamento tra il diritto del danneggiato a ottenere un risarcimento equo e il principio di proporzionalità, evitando risarcimenti eccessivi o iniqui.

– Le Implicazioni Pratiche

L’ordinanza 6444/2023 offre indicazioni preziose per gli operatori del diritto, contribuendo a definire una metodologia più chiara e uniforme nell’accertamento del danno morale. Tra le principali implicazioni pratiche si possono evidenziare:

1. *Maggiore attenzione alla raccolta di prove:* Gli avvocati devono supportare le richieste risarcitorie con documentazione adeguata e testimonianze che rendano evidente la sofferenza patita dalla vittima.
2. *Ruolo attivo del giudice:* Il giudice deve valutare con attenzione non solo la gravità dell’evento lesivo, ma anche la sua incidenza specifica sulla persona, evitando di basarsi su criteri generici.
3. *Tutela della persona lesa:* La pronuncia rafforza la tutela della dignità umana, riconoscendo la rilevanza del dolore morale come componente essenziale del danno non patrimoniale.

– Conclusioni

L’ordinanza 6444 del 3 marzo 2023 rappresenta un passo significativo nella giurisprudenza in materia di danno non patrimoniale. Affermando criteri chiari per la prova e la valutazione della sofferenza morale, la Corte di Cassazione ha fornito un prezioso strumento interpretativo per garantire risarcimenti equi e rispettosi della complessità umana. Questa pronuncia, oltre a confermare l’attenzione del diritto per gli aspetti più intimi e soggettivi della persona, ribadisce l’importanza di un approccio rigoroso e personalizzato nella tutela dei diritti.

Uno dei casi più delicati e spesso difficili da dimostrare di malpractice medica (malasanità) è ricollegabile alla condotta del medico che omette o ritarda la diagnosi di una patologia, allungando i tempi per l’inizio delle cure e riducendo le chance di sopravvivenza del paziente.

Il danno da perdita di chance, con riferimento alla responsabilità medica, deriva da un comportamento del sanitario idoneo ad incidere sulla durata della vita del paziente o sulla sua qualità.

Solitamente questi errori medici riguardano patologie tumorali che non di rado portano a conseguenze purtroppo infauste, o ad interventi molto più invasivi di quelli che il protocollo medico avrebbe previsto.

IL CASO

In particolare ci siamo occupati di un caso di responsabilità medica per aver omesso e poi conseguentemente ritardato di ben 18 mesi la diagnosi di una neoplasia delle parti molli degli arti inferiori.

La signora A., sportiva agonista, all’autopalpazione, percepiva un piccolo nodulo alla coscia destra; si rivolgeva al medico di medicina generale che le prescriveva una ecografia muscolotendinea.

Tale accertamento metteva in evidenza una formazione di diametro di 45 mm.

Il medico di medicina le consigliava di sottoporsi ad una RMN che confermava la presenza della lesione, definita di origine angiomatosa.

Il mese successivo, eseguiva nuovamente RMN, questa volta con mezzo di contrasto; letto l’esito della risonanza, le veniva consigliata l’asportazione del nodulo.

Da quel momento però, la signora A. si rivolgeva a diversi specialisti della materia che continuavano a definire di natura angiomatosa la massa e che quindi sconsigliavano l’intervento di asportazione per il pericolo di emorragia.

Dato però l’aumento di volume della lesione nelle ultime settimane, la paziente insisteva per l’asportazione della massa, pertanto il medico la inviava presso il reparto di Radiologia interventista per un’eventuale embolizzazione.

La signora A. si trovava quindi ad attendere più di un anno per essere sottoposta ad embolizzazione, senza che poi l’intervento portasse ad una riduzione della massa.

Avendo ormai perso fiducia nei confronti dei medici del policlinico della sua città, che l’avevano seguita fino a quel momento, decideva di rivolgersi ad altra struttura ospedaliera di un importante ospedale del nord Italia ove, nel giro di pochi giorni, le veniva diagnosticato un rabdomiosarcoma.

Veniva ricoverata e sottoposta a diversi cicli di chemioterapia; l’inutile vagare della signora, tra i vari medici dell’ospedale della sua città, l’ha portata ad effettuare accertamenti diagnostici inconcludenti, con la conseguente notevole perdita di tempo prezioso per lei e un progressivo peggioramento della condizione clinica, che hanno infine portato all’inevitabile amputazione dell’arto.

Infatti, il ritardo diagnostico ha comportato un importantissimo aumento della massa che nel giro di 18 mesi è passato da 45 mm a 18 cm.

La signora A. si è rivolta allo studio degli avvocati COR per ottenere il giusto risarcimento per i danni subiti a causa del ritardo diagnostico.

Le difficoltà di soluzione di questo caso sono state molteplici; bisogna infatti tenere ben presente che il tumore non è stata la conseguenza del ritardo diagnostico; il tumore era presente sin dal primo controllo fatto dal medico di base, ma purtroppo lo stesso è rimasto a lungo non diagnosticato.

Il tempo perso (18 mesi) ha portato ad una grave e pesante perdita di chance di sopravvivenza, oltre che a un peggioramento generale delle condizioni di vita e alla perdita di possibilità in ambito lavorativo e sportivo.

Nel caso della signora A., bisogna pensare che, se il rabdomiosarcoma fosse stato diagnosticato all’inizio della sua storia clinica, la massa da asportare sarebbe stata molto ridotta e l’intervento avrebbe inciso diversamente sull’arto operato; l’attesa ha invece trasformato un piccolo nodulo in una massa di ben 18 cm.

Le domande che ci possiamo porre sono molteplici: l’intervento chirurgico per l’asportazione di un nodulo di 45 mm ha le stesse difficoltà e porta con sé le stesse conseguenze dell’asportazione di una massa di 18 cm? Se alla signora A. questo intervento fosse stato fatto immediatamente si sarebbe comunque arrivati all’amputazione della gamba? L’attesa così lunga prima di una vera diagnosi ha tolto anni preziosi di vita alla paziente?

Sicuramente già la diagnosi di una neoplasia cambia la vita e un ritardo diagnostico di questo tipo la sconvolge completamente.

Con l’assistenza degli avvocati COR, dopo una trattativa stragiudiziale con la compagnia assicurativa del policlinico, oltre che con i legali dello stesso, la signora A. ha ottenuto il risarcimento dei danni sofferti come conseguenza della omessa diagnosi della patologia che la affliggeva. Tale risultato è stato ottenuto in via stragiudiziale, alleviando la cliente delle spese, dei rischi, nonchè delle ansie che avrebbe comportato il dover affrontare un processo civile.


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