+39 049 / 20.50.454
MENU

La controversia oggetto della sentenza in commento trae origine da un furto di un Caravan avvenuto all’interno di un’autorimessa a pagamento.

Dopo aver indennizzato sulla base di una polizza per il furto il proprietario del veicolo, l’assicuratore ha agito in surroga, ai sensi dell’art. 1916 c.c., nei confronti del gestore del parcheggio per il rimborso della somma corrisposta al depositante.

Il Tribunale di Milano che, con la sentenza 22 aprile 2020, n. 251, si è occupato del caso in questione, ha cercato di dare una risposta alla domanda se il gestore dell’autorimessa fosse tenuto o meno al risarcimento del danno per il furto.

Nel corso del giudizio, quest’ultimo ha tentato di negare la propria responsabilità partendo dall’assunto che il posteggio a pagamento di un veicolo non comporta per il gestore l’obbligo di custodirlo, facendo rimando alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 14319/2011.

Tuttavia, a conclusione della causa, rispondendo positivamente alla suddetta domanda, il Tribunale ha ritenuto il gestore dell’autorimessa responsabile e tenuto al risarcimento del danno per il furto avvenuto in essa.

Conformandosi alla prevalente giurisprudenza della Corte, il Giudice di primo grado ha ritenuto che anche al contratto atipico di parcheggio siano applicabili le norme previste per quello di deposito; pertanto, ai sensi dell’art. 1766 c.c., il custode è tenuto a restituire la cosa nello stato in cui si trovava al momento della consegna.

Conseguentemente, in caso di furto, egli è tenuto a risarcire il danno, se non prova che l’evento fosse imprevedibile e inevitabile, nonostante l’uso della diligenza del buon padre di famiglia.

Per il perfezionamento del contratto e il conseguente sorgere dell’obbligo di custodia non è necessaria la consegna del veicolo ad una persona fisica, ma è sufficiente l’immissione del veicolo nell’area a ciò adibita e il pagamento del prezzo con una delle modalità previste dal gestore dell’autorimessa.

Tale ultimo concetto è stato ribadito anche dalla recente giurisprudenza della Corte che ha sottolineato come non sia necessario l’affidamento del veicolo ad una persona fisica, poiché la consegna può materialmente realizzarsi attraverso la sua immissione nell’area adibita a parcheggio, previo perfezionamento del contratto mediante introduzione di denaro nell’apposito Meccanismo.

Inoltre, la clausola che esclude la responsabilità del gestore del parcheggio per il furto di un’autovettura, che spesso vediamo affissa nelle autorimesse, ha carattere vessatorio ed è inefficace se non approvata specificamente per iscritto.

 

(altro…)

La Cassazione torna ad occuparsi dei danni provocati dalla fauna selvatica chiarendo che il soggetto legittimato passivo, a cui quindi il danneggiato deve rivolgere la propria richiesta di risarcimento è la Regione, “in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti” e, in sostanza, in quanto “utilizzatore” in senso pubblicistico del patrimonio faunistico.

La Corte di legittimità si discosta dall’orientamento precedentemente consolidatosi, secondo cui l’ente rispondeva dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., con un vero e proprio revirement, chiarendo che “va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.”, ciò con tutte le conseguenze in materia di onere della prova.

In sintesi, il danneggiato dovrà dare prova del danno e del nesso causale tra la condotta dell’animale selvatico e il danno stesso, mentre alla Regione spetterà eventualmente fornire la prova liberatoria, dimostrando l’imprevedibilità ed inevitabilità della condotta dell’animale.

Infine, in caso di delega di funzioni di gestione e tutela della fauna selvatica protetta ad altri enti, sarà la Regione a rivalersi nei confronti di questi ultimi.

Si riporta il testo integrale della sentenza (già richiamata da altre due recentissime pronunce:  Cass. Civ. Sez. III sent. n. 8384 e 8385 del 29 aprile 2020, e Cass. civ. Sez. III, sent. n. 12113 del 22 giugno 2020), che fornisce un excursus dei precedenti orientamenti e motiva approfonditamente l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. alla fattispecie in questione.

 

 

 

Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 10/01/2020) 20-04-2020, n. 7969 (altro…)

Che lo si chiami rapporto, prontuario o verbale, è quel fascicolo che riunisce tutti gli elementi: fotografie, rilievi planimetrici, testimonianze, dichiarazioni rilasciate dalle parti coinvolte, ecc., che riguardano un incidente stradale.

Viene redatto dalle Autorità (Polizia Locale, Carabinieri, Polizia Stradale…) intervenute a seguito di un sinistro, in particolare quando vi siano feriti o comunque quando i coinvolti siano in disaccordo circa la dinamica e le responsabilità dell’accaduto, e non sia quindi sufficiente invitare i conducenti a compilare la “constatazione amichevole”.

Recentemente la Cassazione è intervenuta a fare chiarezza sul valore del rapporto d’incidente e delle sue componenti, da un lato ribadendo il consolidato principio secondo cui, essendo un atto pubblico, il verbale fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti avvenuti alla presenza del Pubblico Ufficiale, dall’altro pronunciandosi sull’efficacia probatoria della ricostruzione operata dai verbalizzanti.

Mentre, infatti, hanno fede privilegiata elementi quali la posizione dei veicoli e i danni dagli stessi riportati descritti dagli Agenti, nonché le dichiarazioni rilasciate dalle parti e dai testimoni, qual è il valore della ricostruzione dei fatti cui il Pubblico Ufficiale non ha direttamente assistito? Secondo la Suprema Corte, tale ricostruzione “costituisce valutazione cui non può estendersi l’efficacia probatoria di cui sopra e che va valutata secondo ordinari criteri di deduzione”.

Ciò non significa che la decisione del Giudice non possa ricalcare la stessa descrizione dell’evento riportata nel verbale all’esito degli accertamenti svolti dagli Agenti, cosa che avverrà in particolare quando questa sia “sorretta da elementi logici coerenti”.

Nel caso affrontato dalla sentenza che di seguito si riporta: “il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una propria ricostruzione del sinistro, seppure coincidente con la ricostruzione effettuata dai verbalizzanti e dopo aver valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, le dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro, la dichiarazione di una testimone imparziale, la posizione dei veicoli post urto, così come acquisiti dai pubblici ufficiali successivamente intervenuti in loco, oltre che gli ulteriori dati “tecnici” riportati nel verbale stesso”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4554-2018 proposto da:

L.B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRIDORI LORENZO, VIGNOLA ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 784/2017 del TRIBUNALE di SAVONA, depositata il 23/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.B.C., con ricorso del 15 gennaio 2014 conveniva in giudizio la Prefettura di Savona proponeva impugnazione avverso la sentenza n. 196/13 del Giudice di Pace di Albenga, con cui detto giudice, rigettando il ricorso proposto dal medesimo ricorrente in primo grado, convalidava il verbale di contestazione (OMISSIS) del 21 luglio 2011 della Polizia Stradale di Savona, con il quale era stata contestata la violazione degli artt. 146 e 148 C.d.S., per avere effettuato manovra di sorpasso veicoli fermi in colonna e in prossimità di curva incorrendo in incidente stradale con lesione a terzi. Con tale pronuncia il Giudice di Pace aveva fondato il rigetto del ricorso sostanzialmente affermando la maggiore solidità della ricostruzione operata dagli Agenti accertatori in quanto in parte sorretta da fede privilegiata quanto ai fatti accertati direttamente e in parte rafforzata da testimonianza raccolta nell’immediatezza dei fatti laddove la diversa ricostruzione offerta dal ricorrente sarebbe stata fondata unicamente su testimonianza resa al difensore in epoca successiva.

Lamentava l’appellante – nella sostanza riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso in primo grado, salvo aggiungervi le censure circa il difetto di motivazione – che la sentenza di primo grado avesse violato i principi in tema di motivazione, non tenendo conto delle risultanze e degli elementi di prova offerti.

Con comparsa di risposta, si costituiva l’Amministrazione convenuta chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Il Tribunale di Savona con sentenza n. 784 del 2017 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite. Secondo il tribunale di Savona la sentenza impugnata andava confermata posto che era esaustivamente motivata sia con riguardo alla distribuzione dell’onere della prova sia per quanto attiene alla ricostruzione del fatto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da L.B.C. con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero dell’interno in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Con l’unico motivo di ricorso L.B. lamenta la violazione falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2700 c.c.e della L. n. 689 del 1981,artt. 21, 22, 22-bis e 23, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

In particolare il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia assegnato fede privilegiata al verbale redatto dal Pubblico Ufficiale dopo il sinistro non tenendo conto che il verbale ha fede privilegiato solo le dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. E di più il Tribunale non avrebbe tenuto conto che dalla relazione del sinistro si evince come i segni della caduta siano presenti nella corsia del L.B. il quale, quindi, non poteva essere in fase di sorpasso nella corsia opposta. Tanto più è evidente che nessun mezzo abbia impedito lo scarrocciamento del mezzo dell’odierno appellante il cui solco sull’asfalto, particolarmente evidente, si protrae per alcuni metri dal punto dell’impatto al margine destro della corsia (lato monte) prova che non vi fosse alcuna colonna di macchine da superare.

Su proposta del relatore, il quale riteneva il ricorso infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.

Rileva il collegio che il ricorso è infondato e in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore, ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

Infondato è l’unico motivo del ricorso. E’ principio consolidato (vedi Cass., n. 226629 del 2008, n. 9251 del 2010, n. 3787 del 2012) quello per cui l’atto pubblico (e, dunque, anche il rapporto della polizia municipale) fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, si tratta di materiale probatorio liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti. Ora, il giudice di appello, proprio affermando che la ricostruzione del sinistro operato dai verbalizzanti intervenuti in loco successivamente era non solo convincente ma anche coerente con i dati oggettivi rilevati dagli stessi in loco non ha fatto mal governo della norma dettata dall’art. 2700 c.c..Piuttosto, tenuto conto dei principi, appena indicati, il Tribunale ha avuto cura di specificare di far propria la ricostruzione del sinistro operata dagli operatori perchè sorretta da elementi logici coerenti e per quanto l’appellante non forniva una ricostruzione di valore logico altrettanto coerente. Sicchè è del tutto evidente che il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una propria ricostruzione del sinistro, seppure coincidente con la ricostruzione effettuata dai verbalizzanti e dopo aver valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, le dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro, la dichiarazione di una testimone imparziale, la posizione dei veicoli post urto, così come acquisiti dai pubblici ufficiali successivamente intervenuti in loco, oltre che gli ulteriori dati “tecnici” riportati nel verbale stesso. Come afferma la sentenza impugnata “(….) Nel caso di specie gli Agenti di Polizia nella propria Annotazione, danno atto: della posizione dei veicoli post urto; dei danni riportati dai veicoli stessi; delle dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro e della dichiarazione di una testimone imparziale;

tutti fatti oggettivi, da ritenersi corrispondenti a quanto effettivamente appreso dai verbalizzanti fino a querela di falso. Vi è poi la parte di “ricostruzione del sinistro” che costituisce valutazione cui non può estendersi l’efficacia probatoria di cui sopra e che va valutata secondo ordinari criteri di deduzione. Poichè la ricostruzione degli operanti è sorretta da elementi logici coerenti parte appellante avrebbe dovuto fornire una ricostruzione di valore logico decisamente prevalente, il che non è stato perchè l’elemento di sostegno alla ricostruzione alternativa (testimonianza di un conoscente del ricorrente) è stato congruamente e insindacabilmente in questa sede ritenuto meno solido dell’elemento estraneo che sostiene la ricostruzione degli Operanti (testimonianza di persona certamente presente ai fatti, sentita nell’immediatezza, senza alcun legame con una delle parti) (…..)”.

Ciò posto, cadono anche le ulteriori considerazioni del ricorrente posto che esse impingono in una ricostruzione della fattispecie che viene operata secondo l’apprezzamento della stessa parte ricorrente, cosi da surrogarsi (inammissibilmente) al potere di accertamento del fatto riservato al giudice del merito. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio considerato che il Ministro dell’Interno è rimasto intimato. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – Seconda di questa Corte di Cassazione, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2019


Conformi:
Cass. civ. sez. II, 9 marzo 2012, n. 3787

Cass. civ. sez. lav., 19 aprile 2010, n. 9251

Ormai sempre più numerose sono le famiglie che portano i propri bimbi a giocare al parco giochi. Tale luogo, infatti, soprattutto per chi vive in appartamento, è diventato punto di incontro genitori-figli, che passano interi pomeriggi insieme. Ma se al parco giochi accadesse un incidente e rimanesse infortunato un bambino o il genitore, chi deve risarcire i danni subiti?

La tematica in questione è stata affrontata più volte dalla Cassazione, la quale chiarisce che è il comune a dover risarcire i danni e che, per andare esente da responsabilità, non è sufficiente che provi le buone condizioni di manutenzione delle strutture e l’uso improprio di esse, ma è necessario altresì che dimostri che l’utilizzazione in concreto è assolutamente inusuale sia da parte dei minori e delle persone adulte e quindi imprevedibile.

Utile per comprendere meglio quando il Comune può essere considerato responsabile, è la sentenza n. 18167/2014, con cui la Corte di Cassazione ha affrontato e chiarito la sussistenza o meno della responsabilità civile ex art. 2051 c.c. in capo all’Ente Comunale, in conseguenza di danni riportati dai bambini all’interno di un parco giochi. Gli Ermellini, affrontando il caso di un bimbo che riportava gravi danni fisici a causa della caduta da un cavallo a dondolo situato all’interno dei giardini comunali, ha posto l’attenzione su due aspetti di particolare importanza: la possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere, con l’ordinaria diligenza, una situazione di possibile pericolo nell’utilizzo del bene, che richiede nell’utente un maggior grado di attenzione, e il sempre necessario dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Tali elementi, unitamente al fatto che il bene risulti in perfette condizioni di manutenzione ed adeguato agli standard dei manufatti del genere a cui appartiene, ovvero che lo stesso non presenti al momento del sinistro difetti in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto, valgono ad escludere la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Dopo aver specificato a quali condizioni il Comune possa rimanere salvo da responsabilità, si riportano alcuni esempi pratici affrontati dalla Suprema Corte, ove invece l’Ente è stato ritenuto responsabile e conseguentemente tenuto al risarcimento.

1° caso: una madre chiedeva di essere risarcita dal Comune poiché, mentre aiutava il figlio a scendere dallo scivolo nella villa comunale, a causa della mancanza di una vite di fissaggio, rimaneva impigliata con il quarto dito della mano sinistra nella lamiera e, a causa delle gravi lesioni riportate, perdeva il dito. Il Tribunale di primo grado aveva accordato alla signora un risarcimento di quasi 14mila euro, ma tale somma le era stata negata dalla Corte d’Appello competente che aveva escluso la responsabilità del Comune, ritenendo che l’incidente fosse «fortuito». Contro questa decisione, però, la signora ricorreva con successo in Cassazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della signora, rinviava il caso alla Corte d’Appello, sollecitando i giudici a ricordare che in base all’art. 2051 c.c. «il custode per escludere la responsabilità da cosa in custodia ha l’onere di provare che l’evento è stato cagionato da fatto estraneo ad essa, che può dipendere anche dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima». Detto questo i giudici hanno ricordato che il comune, in caso di incidenti nel parco pubblico, non dovrà soltanto dimostrare l’utilizzo «improprio» del gioco, ma, per andare esente da responsabilità, dovrà anche «dimostrare che tale utilizzazione era assolutamente imprevedibile». (Si veda Cass. civ. Sez. III, sent. 22-09-2009, n. 20415)

2° caso: i genitori di un bambino che era caduto dallo scivolo di un parco comunale e aveva riportato la frattura dell’omero, si erano visti negare il risarcimento, ma la Corte, con l’ordinanza n. 7578/2020, ha accolto il loro ricorso, ribaltando le decisioni di Tribunale e Corte d’Appello, e chiarendo che non è necessario dimostrare l’insidiosità dello scivolo; il Comune, per rimanere esente da responsabilità, avrebbe dovuto provare che la caduta, e il conseguente danno che ne è derivato, sarebbero stati evitabili dal bambino che avesse usato l’ordinaria diligenza.

La Corte di Cassazione con ordinanza del 18.02.2020 n. 4004, che si riporta di seguito, ha ribadito che i danni causati dagli animali selvatici non sono risarcibili dalla P.A. ex art. 2052 c.c., in quanto tale articolo sottende un obbligo di custodia che non può essere posto a carico dell’Ente, essendo un simile obbligo incompatibile con lo stato di libertà degli animali selvatici; ma, i suddetti danni rientrerebbero in quelli risarcibili ex art. 2043 c.c. e, quindi, sulla base del generale principio del neminem laedere.

Conseguentemente, non trovando spazio la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., incombe sul danneggiato l’onere di provare la condotta colposa della P.A., che può discendere dalla violazione dell’obbligo di predisporre lungo la rete viaria la segnaletica di pericolo, ovvero dei dispositivi idonei a scoraggiare o a impedire l’attraversamento della strada alla fauna selvatica.

Quindi, in tema di danni causati da animali selvatici, la responsabilità della P.A. non può che essere ricondotta alla violazione di specifiche norme che impongono ad essa di adottare misure preventive a tutela di chi si trovi ad attraversare determinati territori in una situazione di concreto pericolo.

(altro…)

Il Governo è a lavoro per approvare le modifiche che andranno a costituire il Nuovo Codice della Strada.

Tra le principali novità troviamo che:

  • Chi verrà sorpreso alla guida con il cellulare in mano rischia la sospensione della patente da 7 a 30 giorni (da uno a tre mesi nel caso di infrazione reiterata), e una multa da 422 a 1.697 euro; Per la prima volta saranno «normati» monopattini, skate e hoverboard, e le moto elettriche potranno andare in autostrada;
  • I maggiorenni potranno circolare con i ciclomotori 125 in autostrada;
  • Confermata l’abolizione della tassa di possesso per i veicoli storici;
  • Confermata la cancellazione dell’obbligo degli anabbaglianti di giorno per le auto fuori dai centri abitati;
  • Sanzioni raddoppiate per chi guida una vettura senza assicurazione;
  • Il collaudo per i veicoli a cui si agganciano carrelli non sarà più necessario. Per questi sarebbe sufficiente il solo certificato della casa costruttrice;
  • Possibilità d’immatricolare piccoli trattori da parte di privati, senza partita IVA, purché il mezzo non superi le 6 tonnellate;
  • Anche i ciclisti vengono inclusi nel Nuovo Codice della Strada 2020: 1. i bambini saranno obbligati ad avere il casco fino ai 12 anni; 2. i comuni, oltre a poter predisporre le strisce di arresto per i ciclisti davanti a stop e semafori, potranno anche consentire la circolazione degli stessi su corsie preferenziali.

Limitazioni nella guida

Le seguenti limitazioni sono riferite principalmente ai neopatentati. L’art. 117 CdS prevede che, per i primi tre anni dal conseguimento della patente di categoria A2, A, B1 e B non è consentito il superamento della velocità di 100 km/h per le autostrade e di 90 km/h per le strade extraurbane principali. Inoltre, ai titolari di patente di guida di categoria B, il primo anno dal rilascio non è consentita la guida di autoveicoli aventi una potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 55 kW/t. Per saperne di più vi consigliamo di prendere visione delle regole per neopatentati per capire quali auto possono guidare i neopatentati.

Notifica via PEC

Una delle innovazioni presenti nel nuovo Codice della Strada 2019 riguarda la possibilità di notifica della multa tramite posta elettronica certificata. Il conducente che sia in possesso di un indirizzo PEC si vedrà notificato il verbale di contestazione, direttamente per via telematica.

La data di notifica sarà quella in cui verrà generata la ricevuta di avvenuta consegna, completa del messaggio. La notifica, quindi, si perfeziona in questo momento, anche se l’automobilista non l’ha visualizzata o aperta.

Questo aspetto è di fondamentale importanza in caso di proposizione del ricorso avverso il verbale di contestazione, per evitare che i termini decorrano rendendo impossibile l’impugnazione della multa.

Obbligo di Alt sui rettilinei

Altra novità inserita nel Codice della Strada aggiornato riguarda l’obbligo per la polizia stradale di intimare l’Alt alla vettura che percorre una strada a velocità elevata, qualora l’infrazione si verifichi su un rettilineo.

Questa innovazione è stata introdotta a seguito dell’ordinanza numero 27771 della Corte di Cassazione.

Qualora la polizia stradale non dovesse intimare l’Alt al veicolo, dovrà specificare il motivo in maniera esaustiva, fornendo anche le motivazioni che dovranno essere allegate al verbale di contestazione.

Assistenza legale in caso di alcol test

Un ulteriore modifica presente nel Codice della Strada riguarda la presenza di un legale quando si viene sottoposti ad alcol test.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 51284/2017 dispone che la comunicazione della possibilità di assistenza legale non è necessaria quando si esegue l’alcol test, unitamente ad altri esami del sangue per prestare soccorso ad un soggetto ferito in seguito ad incidente, mentre questa assistenza è necessaria quando l’alcol test venga richiesto dalla polizia giudiziaria.

Abuso d’ufficio

Può capitare di trovare un agente che, dopo aver imposto l’Alt all’automobilista, riscontrando una infrazione non grave, lo faccia poi procedere raccomandando di utilizzare maggiore prudenza.

In passato questi casi potevano comportare un’indagine per abuso d’ufficio nei confronti dell’agente perché con il suo comportamento avrebbe generato un vantaggio patrimoniale nei confronti dell’automobilista, mentre a seguito della sentenza della Cassazione dell’11/10/2017 n° 46788 questa omissione non è configurabile come abuso d’ufficio.

Nuove classi di merito per privati ed aziende

Ulteriore innovazione prevista nel nuovo Codice della Strada riguarda le novità relative alle classi di merito per privati ed aziende.

L’Istituto per la Vigilanza sulla Assicurazioni dovrà stilare un documento con la rilevazione della storia assicurativa e l’assegnazione della classe di CU, anche per le annualità coperte da contratti stipulati con formula a franchigia ed a tariffa fissa, e queste indicazioni verranno applicate anche per le polizze temporanee.

Per le aziende, in caso di mutamento della titolarità del veicolo che comporti il passaggio da una società ad un socio, la classe di CU maturata sul veicolo, viene riconosciuta al nuovo proprietario, anche in caso di sostituzione dell’auto. Sarà inoltre consentito il trasferimento di proprietà di un veicolo tra persone coniugate, o unite civilmente, mentre in precedenza questa possibilità era concessa solamente ai coniugi in comunione di beni.

Qualora il veicolo venisse rubato, il proprietario può conservare la classe di merito attiva prima della perdita di possesso, anche nel caso in cui questo venga ritrovato successivamente. Tale ipotesi si applica anche in caso di mancata vendita.

In caso di auto acquistata in leasing o con noleggio a lungo termine, l’utilizzatore si vedrà riconosciuta la classe di merito anche nell’ipotesi in cui non dovesse riscattare l’auto ed acquistare una vettura nuova.

Nel caso di veicolo intestato a soggetto portatore di handicap, la classe di CU maturata sul veicolo è riconosciuta anche per veicoli acquistati da coloro che hanno abitualmente condotto il veicolo stesso, come ad esempio il coniuge o un familiare.

Eliminato obbligo di patente e libretto:

altra novità è l’eliminazione dell’obbligo di esibizione della patente e del libretto durante il controllo delle autorità. Tale scelta è conseguenza del fatto che i controlli verranno fatti direttamente via telematica.

Uno dei casi più delicati e spesso difficili da dimostrare di malpractice medica (malasanità) è ricollegabile alla condotta del medico che omette o ritarda la diagnosi di una patologia, allungando i tempi per l’inizio delle cure e riducendo le chance di sopravvivenza del paziente.

Il danno da perdita di chance, con riferimento alla responsabilità medica, deriva da un comportamento del sanitario idoneo ad incidere sulla durata della vita del paziente o sulla sua qualità.

Solitamente questi errori medici riguardano patologie tumorali che non di rado portano a conseguenze purtroppo infauste, o ad interventi molto più invasivi di quelli che il protocollo medico avrebbe previsto.

IL CASO

In particolare ci siamo occupati di un caso di responsabilità medica per aver omesso e poi conseguentemente ritardato di ben 18 mesi la diagnosi di una neoplasia delle parti molli degli arti inferiori.

La signora A., sportiva agonista, all’autopalpazione, percepiva un piccolo nodulo alla coscia destra; si rivolgeva al medico di medicina generale che le prescriveva una ecografia muscolotendinea.

Tale accertamento metteva in evidenza una formazione di diametro di 45 mm.

Il medico di medicina le consigliava di sottoporsi ad una RMN che confermava la presenza della lesione, definita di origine angiomatosa.

Il mese successivo, eseguiva nuovamente RMN, questa volta con mezzo di contrasto; letto l’esito della risonanza, le veniva consigliata l’asportazione del nodulo.

Da quel momento però, la signora A. si rivolgeva a diversi specialisti della materia che continuavano a definire di natura angiomatosa la massa e che quindi sconsigliavano l’intervento di asportazione per il pericolo di emorragia.

Dato però l’aumento di volume della lesione nelle ultime settimane, la paziente insisteva per l’asportazione della massa, pertanto il medico la inviava presso il reparto di Radiologia interventista per un’eventuale embolizzazione.

La signora A. si trovava quindi ad attendere più di un anno per essere sottoposta ad embolizzazione, senza che poi l’intervento portasse ad una riduzione della massa.

Avendo ormai perso fiducia nei confronti dei medici del policlinico della sua città, che l’avevano seguita fino a quel momento, decideva di rivolgersi ad altra struttura ospedaliera di un importante ospedale del nord Italia ove, nel giro di pochi giorni, le veniva diagnosticato un rabdomiosarcoma.

Veniva ricoverata e sottoposta a diversi cicli di chemioterapia; l’inutile vagare della signora, tra i vari medici dell’ospedale della sua città, l’ha portata ad effettuare accertamenti diagnostici inconcludenti, con la conseguente notevole perdita di tempo prezioso per lei e un progressivo peggioramento della condizione clinica, che hanno infine portato all’inevitabile amputazione dell’arto.

Infatti, il ritardo diagnostico ha comportato un importantissimo aumento della massa che nel giro di 18 mesi è passato da 45 mm a 18 cm.

La signora A. si è rivolta allo studio degli avvocati COR per ottenere il giusto risarcimento per i danni subiti a causa del ritardo diagnostico.

Le difficoltà di soluzione di questo caso sono state molteplici; bisogna infatti tenere ben presente che il tumore non è stata la conseguenza del ritardo diagnostico; il tumore era presente sin dal primo controllo fatto dal medico di base, ma purtroppo lo stesso è rimasto a lungo non diagnosticato.

Il tempo perso (18 mesi) ha portato ad una grave e pesante perdita di chance di sopravvivenza, oltre che a un peggioramento generale delle condizioni di vita e alla perdita di possibilità in ambito lavorativo e sportivo.

Nel caso della signora A., bisogna pensare che, se il rabdomiosarcoma fosse stato diagnosticato all’inizio della sua storia clinica, la massa da asportare sarebbe stata molto ridotta e l’intervento avrebbe inciso diversamente sull’arto operato; l’attesa ha invece trasformato un piccolo nodulo in una massa di ben 18 cm.

Le domande che ci possiamo porre sono molteplici: l’intervento chirurgico per l’asportazione di un nodulo di 45 mm ha le stesse difficoltà e porta con sé le stesse conseguenze dell’asportazione di una massa di 18 cm? Se alla signora A. questo intervento fosse stato fatto immediatamente si sarebbe comunque arrivati all’amputazione della gamba? L’attesa così lunga prima di una vera diagnosi ha tolto anni preziosi di vita alla paziente?

Sicuramente già la diagnosi di una neoplasia cambia la vita e un ritardo diagnostico di questo tipo la sconvolge completamente.

Con l’assistenza degli avvocati COR, dopo una trattativa stragiudiziale con la compagnia assicurativa del policlinico, oltre che con i legali dello stesso, la signora A. ha ottenuto il risarcimento dei danni sofferti come conseguenza della omessa diagnosi della patologia che la affliggeva. Tale risultato è stato ottenuto in via stragiudiziale, alleviando la cliente delle spese, dei rischi, nonchè delle ansie che avrebbe comportato il dover affrontare un processo civile.

(Giudice di pace di Padova, sent. n. 136/2020 depositata il 30 gennaio 2020)

Il caso – Rimasto vittima di un incidente, A. compila la constatazione amichevole insieme al responsabile e si reca in ospedale per gli accertamenti e le cure del caso.

Richiede poi il risarcimento dei danni alla propria Assicurazione, la quale però risponde rigettando la richiesta.

Di fronte alla resistenza della Compagnia, A. è costretto a promuovere una causa al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

La causa – Davanti al Giudice di pace, l’assicurazione fonda la propria resistenza su una presunta discrepanza tra quanto riportato nel certificato di pronto soccorso e la dinamica risultante dal modulo CAI (urto tra auto e moto in seguito a omessa precedenza nell’atto di immettersi in una rotatoria).

In particolare, nell’anamnesi/esame obiettivo trascritta all’apertura della cartella del pronto soccorso il fatto viene frettolosamente descritto come una scivolata in moto al fine di evitare un altro veicolo; effettivamente non viene fatta menzione dell’urto, circostanza che probabilmente il personale sanitario non ha ritenuto essenziale riportare in un atto che costituisce certificazione medica e non è certo volto a cristallizzare con esattezza la cinematica dell’incidente che ha portato il paziente a richiedere accertamenti e cure mediche.

La sentenza – Il Giudice di pace ritiene la ricostruzione di A. verosimile, e coerente con le risultanze di causa: “anche con riferimento a quanto contenuto nel modulo di constatazione amichevole d’incidente, la dinamica pare sufficientemente chiara, come chiara pare essere la responsabilità ascrivibile al conducente del veicolo antagonista in merito alla causazione dell’evento”.

Con specifico riguardo al fatto riportato dalla cartella clinica osserva: “di non significativo rilievo devono ritenersi le annotazioni – in apparenza contraddittorie rispetto alla dinamica descritta in atto di citazione – riportate sul certificato del Pronto Soccorso. Con riguardo al tipo di documento in argomento, la descrizione del fatto che ha originato le lesioni del paziente non riveste rilevante importanza e, dunque, l’accuratezza con cui le dichiarazioni degli infortunati vengono riportate non di rado lascia a desiderare. Diversa attendibilità dovrebbe, semmai, attribuirsi ad annotazioni e descrizioni contenute in rapporti di incidente redatti da accertatori di Polizia”.

Così si è pronunciato il Giudice di pace di Padova, Davide Piccinni, condannando la compagnia al risarcimento del danno patito da A. in seguito all’incidente.

1- Il pedone che attraversa sulle strisce

In tema di obblighi del pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce e dell’automobilista che giunge in prossimità di una zebratura, il Codice della Strada (D.Lgs. 285/92, in breve CdS, in particolare, artt. 40, 141, 190 e 191) detta le norme di comportamento che ciascuno è tenuto ad osservare.

Conducente (artt. 40, 141 e 191 CdS):

Sul conducente grava non solo l’obbligo di dare la precedenza ai pedoni che abbiano già iniziato l’attraversamento, ma anche l’obbligo di arrestare la propria marcia in corrispondenza della zebratura al fine di consentire a chi si accinga ad attraversare di impegnare le strisce e completare l’attraversamento stesso.

Di più, l’art. 141, che detta norme di comportamento generali in ordine alla velocità, prevede l’obbligo per il conducente di adeguare la stessa in relazione a tutte le concrete circostanze ambientali: in particolare, egli è tenuto a ridurre la velocità e all’occorrenza a fermare il veicolo in prossimità di attraversamenti pedonali.

Pedone (art. 190 CdS):

Dal canto suo, il pedone che intenda raggiungere l’altro lato della carreggiata e si trovi in prossimità di un attraversamento, ha un unico obbligo: servirsi delle strisce pedonali.

In proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che “il pedone che si accinga ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell’ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l’intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti. Ne consegue che la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l’applicabilità dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., occorrendo invece a tal fine che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile” (Cass. civ. Sez. III, sent. n. 20949/2009).

Ovviamente, non vi è nulla di eccezionale ed impensabile nella presenza di un pedone sulle strisce pedonali, almeno quando egli tiene un’andatura “normale” e non compare all’improvviso “buttandosi” di corsa in mezzo alla strada.

In un caso di questo tipo la Corte di Cassazione si è pronunciata così: “il pedone, il quale attraversi la strada di corsa sia pure sulle apposite strisce pedonali immettendosi nel flusso dei veicoli marcianti alla velocità imposta dalla legge, pone in essere un comportamento colposo che può costituire causa esclusiva del suo investimento da parte di un veicolo, ove il conducente, sul quale grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte dell’art. 2054 cod. civ., dimostri che l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia ha reso inevitabile l’evento dannoso, tenuto conto della breve distanza di avvistamento, insufficiente per operare un’idonea manovra di emergenza.” (Cass. civ. Sez. III Sent. n. 14064/2010).

2- E se il pedone attraversa dove non ci sono strisce pedonali?

In caso di assenza di attraversamento pedonale (o di attraversamento che disti più di 100 metri dal pedone), chi ha necessità di raggiungere il lato opposto della carreggiata deve dare la precedenza ai veicoli in transito e percorrere il tratto più breve per recarsi dall’altro lato muovendosi in perpendicolare rispetto al margine della strada (art. 190 commi 2, 3 e 5, CdS).

In questo caso sono dunque i conducenti ad avere la precedenza sui pedoni; ciò non toglie che essi debbano continuare ad osservare le generali norme di condotta, adeguando la velocità quando ciò sia suggerito dalle condizioni di visibilità, dalle caratteristiche della strada e specificamente dal trovarsi di passaggio in una zona abitata o dove vi siano esercizi commerciali e rientri pertanto nella normalità delle cose che possano essere presenti pedoni.

La Corte di Cassazione, in sede penale, è costante nel sostenere addirittura che non costituisce evento eccezionale e imprevedibile, tale da escludere la responsabilità del conducente un autoveicolo, l’attraversamento in orario notturno, da parte di un pedone, di una strada costeggiata su entrambi i lati da case ed esercizi commerciali, anche in assenza di strisce pedonali o di un semaforo. In tale condizione, infatti, il conducente un’autovettura deve considerare possibile l’eventuale sopravvenienza di pedoni e tenere conseguentemente un’andatura ed un livello di attenzione idonei ad evitare di investirli.” (Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 39474/2016, conformi: Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 33207/2013, Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 10635/2013).

Non potrà, invece, dirsi prevedibile e normale la presenza di un pedone lungo una “superstrada”, esplicitamente riservata alla circolazione di autoveicoli e motoveicoli, in assenza assoluta di semafori e strisce pedonali, e in presenza di guardrail privo di aperture. È il caso su cui hanno avuto occasione di pronunciarsi i Giudici di legittimità, dando ragione, questa volta, all’automobilista e chiarendo: “la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro” (Cass. civ. Sez. III, n. 21249/2006).

Il morso di un cane (di un gatto o di qualsiasi altro animale) è un evento che, laddove comporti il ferimento della vittima, ha conseguenze civili. La vittima dell’aggressione infatti, in caso di lesione provocata da un animale, ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

Il codice civile italiano prevede un apposito articolo che disciplina il caso in esame, ossia l’art. 2052 del c.c. che recita: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Si tratta pertanto di una responsabilità alquanto gravosa per il proprietario del cane che, quindi, risulta responsabile salvo il caso in cui non riesca a dimostrare il caso fortuito (la Cassazione ha chiarito che non è sufficiente la prova di aver utilizzato la comune diligenza nella custodia del cane per essere liberato da responsabilità); il danneggiato, dal canto suo, è tenuto a dimostrare il nesso causale tra evento danno, il cane e la proprietà del cane da parte del presunto responsabile.

In caso si configuri responsabilità in capo al proprietario dell’animale, quest’ultimo deve risarcire i danni patrimoniali (es. spese sostenute dal soggetto leso per curare le lesioni provocate dal morso o redditi persi come conseguenza dell’infortunio). Vanno risarciti poi anche i danni non patrimoniali (es. i danni relativi agli esiti delle lesioni fisiche, ma anche la sofferenza psicologica causata da eventuali cicatrici permanenti).

Va ricordato che per la legge non esistono quindi cani più pericolosi di altri; una recente sentenza della Cassazione ha, infatti, ribadito che: “la pericolosità del genere animale non è limitata esclusivamente ad animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia, quali il cane, di regola mansueto” (Cass. sez. IV penale, sent. n. 31874/19).

Se invece un soggetto viene morso da un cane “randagio” ha comunque diritto al risarcimento?

Certamente! Innanzitutto, è necessario precisare che per “randagio” devono intendersi tutti i cani sprovvisti di microchip (obbligatorio per legge).

Per la Corte di Cassazione la responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente cui è attribuito “il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi” (decisione n. 12495/2017). Tuttavia, poiché la legge statale non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi, è necessario analizzare la normativa regionale, del luogo ove è avvenuta l’aggressione.

Tendenzialmente, comunque, spetta al Comune e all’ASL il dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza.

Quindi, dopo aver verificato a quale ente spetti la competenza nel caso concreto si potrà formulare la richiesta di risarcimento del danno patito.


Torna su