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La Corte di Cassazione con ordinanza del 18.02.2020 n. 4004, che si riporta di seguito, ha ribadito che i danni causati dagli animali selvatici non sono risarcibili dalla P.A. ex art. 2052 c.c., in quanto tale articolo sottende un obbligo di custodia che non può essere posto a carico dell’Ente, essendo un simile obbligo incompatibile con lo stato di libertà degli animali selvatici; ma, i suddetti danni rientrerebbero in quelli risarcibili ex art. 2043 c.c. e, quindi, sulla base del generale principio del neminem laedere.

Conseguentemente, non trovando spazio la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., incombe sul danneggiato l’onere di provare la condotta colposa della P.A., che può discendere dalla violazione dell’obbligo di predisporre lungo la rete viaria la segnaletica di pericolo, ovvero dei dispositivi idonei a scoraggiare o a impedire l’attraversamento della strada alla fauna selvatica.

Quindi, in tema di danni causati da animali selvatici, la responsabilità della P.A. non può che essere ricondotta alla violazione di specifiche norme che impongono ad essa di adottare misure preventive a tutela di chi si trovi ad attraversare determinati territori in una situazione di concreto pericolo.

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Il Governo è a lavoro per approvare le modifiche che andranno a costituire il Nuovo Codice della Strada.

Tra le principali novità troviamo che:

  • Chi verrà sorpreso alla guida con il cellulare in mano rischia la sospensione della patente da 7 a 30 giorni (da uno a tre mesi nel caso di infrazione reiterata), e una multa da 422 a 1.697 euro; Per la prima volta saranno «normati» monopattini, skate e hoverboard, e le moto elettriche potranno andare in autostrada;
  • I maggiorenni potranno circolare con i ciclomotori 125 in autostrada;
  • Confermata l’abolizione della tassa di possesso per i veicoli storici;
  • Confermata la cancellazione dell’obbligo degli anabbaglianti di giorno per le auto fuori dai centri abitati;
  • Sanzioni raddoppiate per chi guida una vettura senza assicurazione;
  • Il collaudo per i veicoli a cui si agganciano carrelli non sarà più necessario. Per questi sarebbe sufficiente il solo certificato della casa costruttrice;
  • Possibilità d’immatricolare piccoli trattori da parte di privati, senza partita IVA, purché il mezzo non superi le 6 tonnellate;
  • Anche i ciclisti vengono inclusi nel Nuovo Codice della Strada 2020: 1. i bambini saranno obbligati ad avere il casco fino ai 12 anni; 2. i comuni, oltre a poter predisporre le strisce di arresto per i ciclisti davanti a stop e semafori, potranno anche consentire la circolazione degli stessi su corsie preferenziali.

Limitazioni nella guida

Le seguenti limitazioni sono riferite principalmente ai neopatentati. L’art. 117 CdS prevede che, per i primi tre anni dal conseguimento della patente di categoria A2, A, B1 e B non è consentito il superamento della velocità di 100 km/h per le autostrade e di 90 km/h per le strade extraurbane principali. Inoltre, ai titolari di patente di guida di categoria B, il primo anno dal rilascio non è consentita la guida di autoveicoli aventi una potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 55 kW/t. Per saperne di più vi consigliamo di prendere visione delle regole per neopatentati per capire quali auto possono guidare i neopatentati.

Notifica via PEC

Una delle innovazioni presenti nel nuovo Codice della Strada 2019 riguarda la possibilità di notifica della multa tramite posta elettronica certificata. Il conducente che sia in possesso di un indirizzo PEC si vedrà notificato il verbale di contestazione, direttamente per via telematica.

La data di notifica sarà quella in cui verrà generata la ricevuta di avvenuta consegna, completa del messaggio. La notifica, quindi, si perfeziona in questo momento, anche se l’automobilista non l’ha visualizzata o aperta.

Questo aspetto è di fondamentale importanza in caso di proposizione del ricorso avverso il verbale di contestazione, per evitare che i termini decorrano rendendo impossibile l’impugnazione della multa.

Obbligo di Alt sui rettilinei

Altra novità inserita nel Codice della Strada aggiornato riguarda l’obbligo per la polizia stradale di intimare l’Alt alla vettura che percorre una strada a velocità elevata, qualora l’infrazione si verifichi su un rettilineo.

Questa innovazione è stata introdotta a seguito dell’ordinanza numero 27771 della Corte di Cassazione.

Qualora la polizia stradale non dovesse intimare l’Alt al veicolo, dovrà specificare il motivo in maniera esaustiva, fornendo anche le motivazioni che dovranno essere allegate al verbale di contestazione.

Assistenza legale in caso di alcol test

Un ulteriore modifica presente nel Codice della Strada riguarda la presenza di un legale quando si viene sottoposti ad alcol test.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 51284/2017 dispone che la comunicazione della possibilità di assistenza legale non è necessaria quando si esegue l’alcol test, unitamente ad altri esami del sangue per prestare soccorso ad un soggetto ferito in seguito ad incidente, mentre questa assistenza è necessaria quando l’alcol test venga richiesto dalla polizia giudiziaria.

Abuso d’ufficio

Può capitare di trovare un agente che, dopo aver imposto l’Alt all’automobilista, riscontrando una infrazione non grave, lo faccia poi procedere raccomandando di utilizzare maggiore prudenza.

In passato questi casi potevano comportare un’indagine per abuso d’ufficio nei confronti dell’agente perché con il suo comportamento avrebbe generato un vantaggio patrimoniale nei confronti dell’automobilista, mentre a seguito della sentenza della Cassazione dell’11/10/2017 n° 46788 questa omissione non è configurabile come abuso d’ufficio.

Nuove classi di merito per privati ed aziende

Ulteriore innovazione prevista nel nuovo Codice della Strada riguarda le novità relative alle classi di merito per privati ed aziende.

L’Istituto per la Vigilanza sulla Assicurazioni dovrà stilare un documento con la rilevazione della storia assicurativa e l’assegnazione della classe di CU, anche per le annualità coperte da contratti stipulati con formula a franchigia ed a tariffa fissa, e queste indicazioni verranno applicate anche per le polizze temporanee.

Per le aziende, in caso di mutamento della titolarità del veicolo che comporti il passaggio da una società ad un socio, la classe di CU maturata sul veicolo, viene riconosciuta al nuovo proprietario, anche in caso di sostituzione dell’auto. Sarà inoltre consentito il trasferimento di proprietà di un veicolo tra persone coniugate, o unite civilmente, mentre in precedenza questa possibilità era concessa solamente ai coniugi in comunione di beni.

Qualora il veicolo venisse rubato, il proprietario può conservare la classe di merito attiva prima della perdita di possesso, anche nel caso in cui questo venga ritrovato successivamente. Tale ipotesi si applica anche in caso di mancata vendita.

In caso di auto acquistata in leasing o con noleggio a lungo termine, l’utilizzatore si vedrà riconosciuta la classe di merito anche nell’ipotesi in cui non dovesse riscattare l’auto ed acquistare una vettura nuova.

Nel caso di veicolo intestato a soggetto portatore di handicap, la classe di CU maturata sul veicolo è riconosciuta anche per veicoli acquistati da coloro che hanno abitualmente condotto il veicolo stesso, come ad esempio il coniuge o un familiare.

Eliminato obbligo di patente e libretto:

altra novità è l’eliminazione dell’obbligo di esibizione della patente e del libretto durante il controllo delle autorità. Tale scelta è conseguenza del fatto che i controlli verranno fatti direttamente via telematica.

Uno dei casi più delicati e spesso difficili da dimostrare di malpractice medica (malasanità) è ricollegabile alla condotta del medico che omette o ritarda la diagnosi di una patologia, allungando i tempi per l’inizio delle cure e riducendo le chance di sopravvivenza del paziente.

Il danno da perdita di chance, con riferimento alla responsabilità medica, deriva da un comportamento del sanitario idoneo ad incidere sulla durata della vita del paziente o sulla sua qualità.

Solitamente questi errori medici riguardano patologie tumorali che non di rado portano a conseguenze purtroppo infauste, o ad interventi molto più invasivi di quelli che il protocollo medico avrebbe previsto.

IL CASO

In particolare ci siamo occupati di un caso di responsabilità medica per aver omesso e poi conseguentemente ritardato di ben 18 mesi la diagnosi di una neoplasia delle parti molli degli arti inferiori.

La signora A., sportiva agonista, all’autopalpazione, percepiva un piccolo nodulo alla coscia destra; si rivolgeva al medico di medicina generale che le prescriveva una ecografia muscolotendinea.

Tale accertamento metteva in evidenza una formazione di diametro di 45 mm.

Il medico di medicina le consigliava di sottoporsi ad una RMN che confermava la presenza della lesione, definita di origine angiomatosa.

Il mese successivo, eseguiva nuovamente RMN, questa volta con mezzo di contrasto; letto l’esito della risonanza, le veniva consigliata l’asportazione del nodulo.

Da quel momento però, la signora A. si rivolgeva a diversi specialisti della materia che continuavano a definire di natura angiomatosa la massa e che quindi sconsigliavano l’intervento di asportazione per il pericolo di emorragia.

Dato però l’aumento di volume della lesione nelle ultime settimane, la paziente insisteva per l’asportazione della massa, pertanto il medico la inviava presso il reparto di Radiologia interventista per un’eventuale embolizzazione.

La signora A. si trovava quindi ad attendere più di un anno per essere sottoposta ad embolizzazione, senza che poi l’intervento portasse ad una riduzione della massa.

Avendo ormai perso fiducia nei confronti dei medici del policlinico della sua città, che l’avevano seguita fino a quel momento, decideva di rivolgersi ad altra struttura ospedaliera di un importante ospedale del nord Italia ove, nel giro di pochi giorni, le veniva diagnosticato un rabdomiosarcoma.

Veniva ricoverata e sottoposta a diversi cicli di chemioterapia; l’inutile vagare della signora, tra i vari medici dell’ospedale della sua città, l’ha portata ad effettuare accertamenti diagnostici inconcludenti, con la conseguente notevole perdita di tempo prezioso per lei e un progressivo peggioramento della condizione clinica, che hanno infine portato all’inevitabile amputazione dell’arto.

Infatti, il ritardo diagnostico ha comportato un importantissimo aumento della massa che nel giro di 18 mesi è passato da 45 mm a 18 cm.

La signora A. si è rivolta allo studio degli avvocati COR per ottenere il giusto risarcimento per i danni subiti a causa del ritardo diagnostico.

Le difficoltà di soluzione di questo caso sono state molteplici; bisogna infatti tenere ben presente che il tumore non è stata la conseguenza del ritardo diagnostico; il tumore era presente sin dal primo controllo fatto dal medico di base, ma purtroppo lo stesso è rimasto a lungo non diagnosticato.

Il tempo perso (18 mesi) ha portato ad una grave e pesante perdita di chance di sopravvivenza, oltre che a un peggioramento generale delle condizioni di vita e alla perdita di possibilità in ambito lavorativo e sportivo.

Nel caso della signora A., bisogna pensare che, se il rabdomiosarcoma fosse stato diagnosticato all’inizio della sua storia clinica, la massa da asportare sarebbe stata molto ridotta e l’intervento avrebbe inciso diversamente sull’arto operato; l’attesa ha invece trasformato un piccolo nodulo in una massa di ben 18 cm.

Le domande che ci possiamo porre sono molteplici: l’intervento chirurgico per l’asportazione di un nodulo di 45 mm ha le stesse difficoltà e porta con sé le stesse conseguenze dell’asportazione di una massa di 18 cm? Se alla signora A. questo intervento fosse stato fatto immediatamente si sarebbe comunque arrivati all’amputazione della gamba? L’attesa così lunga prima di una vera diagnosi ha tolto anni preziosi di vita alla paziente?

Sicuramente già la diagnosi di una neoplasia cambia la vita e un ritardo diagnostico di questo tipo la sconvolge completamente.

Con l’assistenza degli avvocati COR, dopo una trattativa stragiudiziale con la compagnia assicurativa del policlinico, oltre che con i legali dello stesso, la signora A. ha ottenuto il risarcimento dei danni sofferti come conseguenza della omessa diagnosi della patologia che la affliggeva. Tale risultato è stato ottenuto in via stragiudiziale, alleviando la cliente delle spese, dei rischi, nonchè delle ansie che avrebbe comportato il dover affrontare un processo civile.

1- Il pedone che attraversa sulle strisce

In tema di obblighi del pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce e dell’automobilista che giunge in prossimità di una zebratura, il Codice della Strada (D.Lgs. 285/92, in breve CdS, in particolare, artt. 40, 141, 190 e 191) detta le norme di comportamento che ciascuno è tenuto ad osservare.

Conducente (artt. 40, 141 e 191 CdS):

Sul conducente grava non solo l’obbligo di dare la precedenza ai pedoni che abbiano già iniziato l’attraversamento, ma anche l’obbligo di arrestare la propria marcia in corrispondenza della zebratura al fine di consentire a chi si accinga ad attraversare di impegnare le strisce e completare l’attraversamento stesso.

Di più, l’art. 141, che detta norme di comportamento generali in ordine alla velocità, prevede l’obbligo per il conducente di adeguare la stessa in relazione a tutte le concrete circostanze ambientali: in particolare, egli è tenuto a ridurre la velocità e all’occorrenza a fermare il veicolo in prossimità di attraversamenti pedonali.

Pedone (art. 190 CdS):

Dal canto suo, il pedone che intenda raggiungere l’altro lato della carreggiata e si trovi in prossimità di un attraversamento, ha un unico obbligo: servirsi delle strisce pedonali.

In proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che “il pedone che si accinga ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell’ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l’intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti. Ne consegue che la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l’applicabilità dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., occorrendo invece a tal fine che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile” (Cass. civ. Sez. III, sent. n. 20949/2009).

Ovviamente, non vi è nulla di eccezionale ed impensabile nella presenza di un pedone sulle strisce pedonali, almeno quando egli tiene un’andatura “normale” e non compare all’improvviso “buttandosi” di corsa in mezzo alla strada.

In un caso di questo tipo la Corte di Cassazione si è pronunciata così: “il pedone, il quale attraversi la strada di corsa sia pure sulle apposite strisce pedonali immettendosi nel flusso dei veicoli marcianti alla velocità imposta dalla legge, pone in essere un comportamento colposo che può costituire causa esclusiva del suo investimento da parte di un veicolo, ove il conducente, sul quale grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte dell’art. 2054 cod. civ., dimostri che l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia ha reso inevitabile l’evento dannoso, tenuto conto della breve distanza di avvistamento, insufficiente per operare un’idonea manovra di emergenza.” (Cass. civ. Sez. III Sent. n. 14064/2010).

2- E se il pedone attraversa dove non ci sono strisce pedonali?

In caso di assenza di attraversamento pedonale (o di attraversamento che disti più di 100 metri dal pedone), chi ha necessità di raggiungere il lato opposto della carreggiata deve dare la precedenza ai veicoli in transito e percorrere il tratto più breve per recarsi dall’altro lato muovendosi in perpendicolare rispetto al margine della strada (art. 190 commi 2, 3 e 5, CdS).

In questo caso sono dunque i conducenti ad avere la precedenza sui pedoni; ciò non toglie che essi debbano continuare ad osservare le generali norme di condotta, adeguando la velocità quando ciò sia suggerito dalle condizioni di visibilità, dalle caratteristiche della strada e specificamente dal trovarsi di passaggio in una zona abitata o dove vi siano esercizi commerciali e rientri pertanto nella normalità delle cose che possano essere presenti pedoni.

La Corte di Cassazione, in sede penale, è costante nel sostenere addirittura che non costituisce evento eccezionale e imprevedibile, tale da escludere la responsabilità del conducente un autoveicolo, l’attraversamento in orario notturno, da parte di un pedone, di una strada costeggiata su entrambi i lati da case ed esercizi commerciali, anche in assenza di strisce pedonali o di un semaforo. In tale condizione, infatti, il conducente un’autovettura deve considerare possibile l’eventuale sopravvenienza di pedoni e tenere conseguentemente un’andatura ed un livello di attenzione idonei ad evitare di investirli.” (Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 39474/2016, conformi: Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 33207/2013, Cass. pen. Sez. IV, sent. n. 10635/2013).

Non potrà, invece, dirsi prevedibile e normale la presenza di un pedone lungo una “superstrada”, esplicitamente riservata alla circolazione di autoveicoli e motoveicoli, in assenza assoluta di semafori e strisce pedonali, e in presenza di guardrail privo di aperture. È il caso su cui hanno avuto occasione di pronunciarsi i Giudici di legittimità, dando ragione, questa volta, all’automobilista e chiarendo: “la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro” (Cass. civ. Sez. III, n. 21249/2006).

Il morso di un cane (di un gatto o di qualsiasi altro animale) è un evento che, laddove comporti il ferimento della vittima, ha conseguenze civili. La vittima dell’aggressione infatti, in caso di lesione provocata da un animale, ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

Il codice civile italiano prevede un apposito articolo che disciplina il caso in esame, ossia l’art. 2052 del c.c. che recita: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Si tratta pertanto di una responsabilità alquanto gravosa per il proprietario del cane che, quindi, risulta responsabile salvo il caso in cui non riesca a dimostrare il caso fortuito (la Cassazione ha chiarito che non è sufficiente la prova di aver utilizzato la comune diligenza nella custodia del cane per essere liberato da responsabilità); il danneggiato, dal canto suo, è tenuto a dimostrare il nesso causale tra evento danno, il cane e la proprietà del cane da parte del presunto responsabile.

In caso si configuri responsabilità in capo al proprietario dell’animale, quest’ultimo deve risarcire i danni patrimoniali (es. spese sostenute dal soggetto leso per curare le lesioni provocate dal morso o redditi persi come conseguenza dell’infortunio). Vanno risarciti poi anche i danni non patrimoniali (es. i danni relativi agli esiti delle lesioni fisiche, ma anche la sofferenza psicologica causata da eventuali cicatrici permanenti).

Va ricordato che per la legge non esistono quindi cani più pericolosi di altri; una recente sentenza della Cassazione ha, infatti, ribadito che: “la pericolosità del genere animale non è limitata esclusivamente ad animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia, quali il cane, di regola mansueto” (Cass. sez. IV penale, sent. n. 31874/19).

Se invece un soggetto viene morso da un cane “randagio” ha comunque diritto al risarcimento?

Certamente! Innanzitutto, è necessario precisare che per “randagio” devono intendersi tutti i cani sprovvisti di microchip (obbligatorio per legge).

Per la Corte di Cassazione la responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente cui è attribuito “il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi” (decisione n. 12495/2017). Tuttavia, poiché la legge statale non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi, è necessario analizzare la normativa regionale, del luogo ove è avvenuta l’aggressione.

Tendenzialmente, comunque, spetta al Comune e all’ASL il dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza.

Quindi, dopo aver verificato a quale ente spetti la competenza nel caso concreto si potrà formulare la richiesta di risarcimento del danno patito.


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