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La Cassazione torna ad occuparsi dei danni provocati dalla fauna selvatica chiarendo che il soggetto legittimato passivo, a cui quindi il danneggiato deve rivolgere la propria richiesta di risarcimento è la Regione, “in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti” e, in sostanza, in quanto “utilizzatore” in senso pubblicistico del patrimonio faunistico.

La Corte di legittimità si discosta dall’orientamento precedentemente consolidatosi, secondo cui l’ente rispondeva dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., con un vero e proprio revirement, chiarendo che “va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.”, ciò con tutte le conseguenze in materia di onere della prova.

In sintesi, il danneggiato dovrà dare prova del danno e del nesso causale tra la condotta dell’animale selvatico e il danno stesso, mentre alla Regione spetterà eventualmente fornire la prova liberatoria, dimostrando l’imprevedibilità ed inevitabilità della condotta dell’animale.

Infine, in caso di delega di funzioni di gestione e tutela della fauna selvatica protetta ad altri enti, sarà la Regione a rivalersi nei confronti di questi ultimi.

Si riporta il testo integrale della sentenza (già richiamata da altre due recentissime pronunce:  Cass. Civ. Sez. III sent. n. 8384 e 8385 del 29 aprile 2020, e Cass. civ. Sez. III, sent. n. 12113 del 22 giugno 2020), che fornisce un excursus dei precedenti orientamenti e motiva approfonditamente l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. alla fattispecie in questione.

 

 

 

Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 10/01/2020) 20-04-2020, n. 7969 (altro…)

Ormai sempre più numerose sono le famiglie che portano i propri bimbi a giocare al parco giochi. Tale luogo, infatti, soprattutto per chi vive in appartamento, è diventato punto di incontro genitori-figli, che passano interi pomeriggi insieme. Ma se al parco giochi accadesse un incidente e rimanesse infortunato un bambino o il genitore, chi deve risarcire i danni subiti?

La tematica in questione è stata affrontata più volte dalla Cassazione, la quale chiarisce che è il comune a dover risarcire i danni e che, per andare esente da responsabilità, non è sufficiente che provi le buone condizioni di manutenzione delle strutture e l’uso improprio di esse, ma è necessario altresì che dimostri che l’utilizzazione in concreto è assolutamente inusuale sia da parte dei minori e delle persone adulte e quindi imprevedibile.

Utile per comprendere meglio quando il Comune può essere considerato responsabile, è la sentenza n. 18167/2014, con cui la Corte di Cassazione ha affrontato e chiarito la sussistenza o meno della responsabilità civile ex art. 2051 c.c. in capo all’Ente Comunale, in conseguenza di danni riportati dai bambini all’interno di un parco giochi. Gli Ermellini, affrontando il caso di un bimbo che riportava gravi danni fisici a causa della caduta da un cavallo a dondolo situato all’interno dei giardini comunali, ha posto l’attenzione su due aspetti di particolare importanza: la possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere, con l’ordinaria diligenza, una situazione di possibile pericolo nell’utilizzo del bene, che richiede nell’utente un maggior grado di attenzione, e il sempre necessario dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Tali elementi, unitamente al fatto che il bene risulti in perfette condizioni di manutenzione ed adeguato agli standard dei manufatti del genere a cui appartiene, ovvero che lo stesso non presenti al momento del sinistro difetti in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto, valgono ad escludere la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Dopo aver specificato a quali condizioni il Comune possa rimanere salvo da responsabilità, si riportano alcuni esempi pratici affrontati dalla Suprema Corte, ove invece l’Ente è stato ritenuto responsabile e conseguentemente tenuto al risarcimento.

1° caso: una madre chiedeva di essere risarcita dal Comune poiché, mentre aiutava il figlio a scendere dallo scivolo nella villa comunale, a causa della mancanza di una vite di fissaggio, rimaneva impigliata con il quarto dito della mano sinistra nella lamiera e, a causa delle gravi lesioni riportate, perdeva il dito. Il Tribunale di primo grado aveva accordato alla signora un risarcimento di quasi 14mila euro, ma tale somma le era stata negata dalla Corte d’Appello competente che aveva escluso la responsabilità del Comune, ritenendo che l’incidente fosse «fortuito». Contro questa decisione, però, la signora ricorreva con successo in Cassazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della signora, rinviava il caso alla Corte d’Appello, sollecitando i giudici a ricordare che in base all’art. 2051 c.c. «il custode per escludere la responsabilità da cosa in custodia ha l’onere di provare che l’evento è stato cagionato da fatto estraneo ad essa, che può dipendere anche dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima». Detto questo i giudici hanno ricordato che il comune, in caso di incidenti nel parco pubblico, non dovrà soltanto dimostrare l’utilizzo «improprio» del gioco, ma, per andare esente da responsabilità, dovrà anche «dimostrare che tale utilizzazione era assolutamente imprevedibile». (Si veda Cass. civ. Sez. III, sent. 22-09-2009, n. 20415)

2° caso: i genitori di un bambino che era caduto dallo scivolo di un parco comunale e aveva riportato la frattura dell’omero, si erano visti negare il risarcimento, ma la Corte, con l’ordinanza n. 7578/2020, ha accolto il loro ricorso, ribaltando le decisioni di Tribunale e Corte d’Appello, e chiarendo che non è necessario dimostrare l’insidiosità dello scivolo; il Comune, per rimanere esente da responsabilità, avrebbe dovuto provare che la caduta, e il conseguente danno che ne è derivato, sarebbero stati evitabili dal bambino che avesse usato l’ordinaria diligenza.


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